La Recensione/ Parthenope, autentico capolavoro di Paolo Sorrentino

Paolo Sorrentino, nel suo ultimo capolavoro, presentato al Festival di Cannes il 21 Maggio 2024, ha toccato le vette della lirica.

Dopo “La grande Bellezza“, pervasa dal languore in una Roma decadente, è la volta di Napoli protagonista, un omaggio appassionato e “obiettivo” alla sua città.

Il film Parthenope sembra proporre un’equazione: Napoli sta alla bellezza come la giovinezza sta alla fragilità, al dolore… ma c’è di più. L’amore è un’illusione mentre il tempo passa accanto al dolore e in mezzo c’è Parthenope, senza essere mito o leggenda, sembra vita che sfida la vita stessa con la seduzione. Il nome è quello della leggendaria Sirena Parthenope, solo il nome, perché Sorrentino supera il mito nella sua rappresentazione con un finale rivelatore. Parthenope come una Sirena ammalia, seduce e fugge, ma infine “resiste”.

Ne scaturisce una disamina struggente della bellezza indescrivibile di questa giovane ragazza, di Napoli stessa con le sue tangibili e dissacranti contraddizioni.

La scenografia, le immagini fuggenti dei panorami, volutamente sfocate, sin dall’inizio, sono ventate di sensualità, come le giovani ragazze, tutte belle, che si muovono sullo schermo quasi a rallentatore, come in un sogno, un sogno viscerale in cui si succedono tutte le sequenze del film e Parthenope che si staglia con la sua bellezza misteriosa e perfetta come Celeste Dalla Porta sembra che mai il dolore la debba sfiorare.

La bellezza, come dice lo scrittore americano Jhon Cheever… apre tutte le porte, ma Parthenope è bella e “inconsapevolmente” infelice come Silvia di Leopardi (con gli occhi ridenti e fuggitivi… ma ahimè), come Elena di D’Annunzio.

Sorrentino in tutto il film inietta sieri della letteratura classica.

Parthenope è bella e intelligente, curiosa e studiosa di antropologia, una disciplina che l’affascina ma non riesce a comprenderne l’essenza; suo mentore, il suo riferimento non è il padre, ma il professore Devoto Marotta.

Colpisce come Sorrentino possa far emergere nel film l’importanza dell’insegnante (colui che lascia il segno), colui che sarà la salvezza di Parthenope dopo il suicidio del fratello e l’aborto da lei voluto. Sorrentino, con delicata amarezza, sfiora il tema dell’aborto perpetrato per il rifiuto della malavita giustificando così Parthenope che resterà segnata dalla mancata maternità.

Incisiva la figura del docente nell’interpretazione filosofica ed umana di Silvio Orlando, il professore Marotta che non giudica e non vuole essere giudicato, tipico di chi conosce il dolore, e proprio per questo capace di guidare e di spronare.

La giovinezza e la bellezza sono in Sorrentino colpevoli di essere bendati. Come dice il professore “il problema è che con il passare del tempo si perde la giovinezza e si acquista la vista”, si vede la realtà e lui aveva avuto il coraggio di guardarla in faccia, sempre, una realtà la sua fatta di “acqua e salecome il mare…

Sono struggenti le note di Sorrentino! Decadenza, anche Fatalismo -“era già tutto previsto”- e insieme Realismo si fondono e pervadono Napoli, intessuta di contraddizioni, bellezza e orrore, di ricchezza solitaria, infelice, e di povertà, di miseria prolifica, brulicante di vita, in cui cova e si alimenta la violenza, in cui l’orrido amplesso esposto al pubblico plauso assume quasi un’accezione naturale.

Sorrentino provoca e sfida (come Parthenope) insinuando quasi come normale l’orrido connubio.

Come Elena di Troia fu colpevole dei mali del mondo, come la Natura fu matrigna per Leopardi, la bellezza sarà la colpa di Parthenope, sarà la sua ferita insanabile.

È un messaggio positivo, infine, quello che si coglie dal film, dal personaggio di Parthenope, simbolo di speranza che Napoli sede della Cultura più antica, della bellezza più sognante, possa, per questo, resistere e donarsi al futuro.

Paolo Sorrentino ha saputo fondere in una rappresentazione poetica e drammatica le contraddizioni della vita in cui resiste chi sa unire alla passione la ragione, in questo ultimo capolavoro ha saputo mescere tutte le anime, che risiedono nei suoi film.

Perfetta la scelta di Stefania Sandrelli, leggera anche nelle interpretazioni drammatiche, qui nel ruolo di Parthenope matura, con il suo “dolore accanto“.

Tutti gli interpreti rivestono il loro ruolo come un abito cucito su misura, di alta sartoria: Luisa Ranieri, la coraggiosa Greta Cool, anche lei bellezza lesa dal tempo, Isabella Ferrari in Flora Malva, deturpata dalla violenza di un uomo, Gary Oldman nell’infelice John Cheever, il grottesco vescovo Tesorone interpretato da Paolo Lanzetti.

La fotografia è di Daria D’Antonia che ha coniugato nei suoi scatti l’oscillazione tra sogno e realtà, propria di Sorrentino; la scenografia di Carmine Guarino e la montatura di Cristiano Tovaglioli hanno fedelmente riportato l’anima di Napoli.

E il tesoro di San Gennaro? Non era dissacrante, ma risplendeva della bellezza di Parthenope.

Rita Chillemi

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