Tanti anni fa, quando ancora non ero sposato e padre, nel periodo di Natale ero solito andare a trovare i bambini delle Case Famiglia per portare dei doni e vivere momenti di intensa emozione assieme a loro. Ricordo ancora i brividi che mi assalivano a livello di pelle, quando le suore mi aprivano la porta e dicevano ai bimbi: “Guardate, c’è un signore che è venuto a trovarvi per giocare con voi e portarvi dei doni”. Sembra ieri, eppure, nonostante i tanti anni ormai trascorsi, mi sembra di rivedere gli occhi di quei bambini e l’entusiasmo di venirmi incontro ed abbracciarmi. Erano tanti, maschi e femmine, bianchi e neri, europei, africani ed asiatici, ma tutti con lo stesso desiderio di affetto, di attenzione, di voglia di stare accoccolati e ricevere una carezza. Momenti forti che avevo preso coscienza di vivere intensamente, quasi fosse un piacere per l’anima, quel sentirsi chiamare “papà” da figli che non erano miei ma che quasi mi preparavano a capire cosa avrei potuto provare il giorno che lo fossi stato veramente attraverso il frutto dell’amore. Poi, come spesso mi succede quando desidero andare a fondo su cose che mi interessano da vicino, mi sono chiesto: “Ma cosa sono le Case Famiglia? Come sono strutturate? Come si vive all’interno? Chi si occupa di gestire anche in termini giuridici i minori affidati alle Case Famiglia? Sinceramente non sapevo nulla e neanche se nella difficoltà sempre maggiore del vivere quotidiano, qualcuno avesse ancora l’impulso di pensare a chi stava peggio. E non immaginavo neppure se il pensiero di entrare a conoscere certe realtà sociali e istituzionali come le Case Famiglia, potesse in qualche modo carpire la curiosità della gente. Ed è per questo motivo che pensai di porre all’attenzione mediatica un mio articolo su un tema che troppe volte sfugge alla nostra sensibilità. Così mi informai prima di scrivere e scoprii che fino a pochi anni fa le Case Famiglia si chiamavano Orfanotrofi. Poi, col passare degli anni e con il migliorare della tutela dei giovani e delle strutture da parte delle leggi dello Stato, si chiamarono Case Famiglia. In Italia ci sono oltre 20 mila giovani, tra neonati, bambini e ragazzi ospitati da strutture di accoglienza. Sono veri e propri Istituti capaci di ospitare chi è stato abbandonato dai genitori naturali o non li ha mai conosciuti. Solo uno su cinque di loro è assegnato (con adozione o con affido) dai Tribunali alle famiglie che ne fanno richiesta e che, statisticamente, sono più di dieci mila. Si tratta di una media bassissima, tra le più scarse d’Europa. L’attesa di avere un bimbo in adozione o in affidamento è spesso biblica e le pratiche burocratiche da espletare sembrano essere insormontabili. Ma, troppe volte davvero, ci si dimentica che dentro certe ferree leggi italiane sul tema di adozione, c’è la speranza di un bambino di potere entrare nel cuore e nell’anima di una mamma e di un padre che non hanno mai avuto. Certo, questo tema così particolare che coinvolge la cruda realtà delle leggi sulla tutela dei minori e i trasparenti e puri sentimenti umani legati all’affetto verso un bambino che chiede aiuto, sembra esserci un abisso di controsensi. Là dove urge fare in fretta, sembra quasi che ci siano chissà quali interessi sommersi per allungare tempi che non hanno ragione d’essere. Il destino più comune per un bambino che cresce in una casa famiglia è di diventare un pacco, spesso sballottato da un istituto all’altro in attesa appunto di essere affidato a qualche famiglia “vera”. Si calcola che in Italia ci siano oltre 1800 strutture suddivise tra Nord, Centro e Sud, con regioni quali Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Sicilia, che raggiungono numeri più consistenti, stimati tra le 250 e le 300 unità. Ma le Case Famiglia in Italia, non sono solo adibite all’accoglienza di minorenni, ma anche di disabili, anziani, adulti in difficoltà, persone affette da AIDS e/o in generale anche di persone affette da problemi psico-sociali. Oggi tutto questo ricordare ciò che è stato per me tanti anni fa, si snoda come un film nella mia mente e mi fa riflettere come il tempo non muti le cose, anzi in certi casi li accresce nella loro cruda verità di abbandono. In questi giorni Papa Francesco ha voluto festeggiare il giorno del suo 87esimo compleanno assieme ai bambini, a 200 famiglie e alle donne in difficoltà. Un motivo per far riflettere e umanizzare l’importanza di ristabilire rispetto e dialogo proprio in questo lungo, interminabile tempo di guerre e violenze, richiamando tutti all’esigenza di costruire soluzioni per addivenire alla pace. Già, è proprio quella cosa che si scrive “PACE” e si legge “AMORE”, che neanche attraverso la tenerezza verso i bambini si riesce a percepire. Il tempo è passato, tuttavia, mi sono accorto che quel mio andare nelle Case Famiglia per portare un po’ di amore è rimasto così com’era allora: ”Un granello di sabbia nell’immenso mare dell’indifferenza umana”.
Salvino Cavallaro