Si è celebrato, in questi giorni, il primo centenario della nascita di Nino Ferraù con un Convegno organizzato dalla Biblioteca Regionale Universitaria di Messina, cui hanno partecipato accreditati studiosi dell’opera del poeta di Galati Mamertino (ME).
Il folto pubblico ha mostrato di apprezzare le varie relazioni, nelle quali sono emersi aspetti interessanti dell’uomo e del poeta. E in specie: il forte, deciso, antiautoritario pensiero politico in difesa della Libertà (a partire da “Diadema di sangue” del 1943, vero documento storico dell’antifascismo siciliano); la decisa opzione repubblicana e mazziniana del periodo democristiano, insieme con la straordinaria promozione dell’europeismo, nel 1968; la notevole componente satirica della sua vasta produzione in versi e in prosa (di cui un’ampia documentazione è in “Didascalica”); il suo cristianesimo umanitario, sociale (anticlericale), versato alla solidarietà con gli ultimi, i reietti, gli emarginati, gli esclusi; la sua attenzione alla “filosofia della differenza”, alla “dialettica del tutto”, contro ogni unilateralismo.
Si è, peraltro, evidenziata la valenza fortemente innovativa del linguaggio poetico di Ferraù che mira alla leggibilità in opposizione dichiarata all’Ermetismo e, parimenti, gli innovativi esiti stilistici della sua complessa, articolata, esistenziale “visione del mondo”, quale si rivelanelle sei raccolte postume pubblicate dal caro, instancabile fratello.
Certo, il Nino Ferraù tratteggiato nel Convegno messinese non è affatto il poetino laterale, delicato, idilliaco che ha deliziato e delizia tante “anime belle” della città e della provincia, ma un esemplare poeta postermetico (uno dei più significativi del secondo Novecento), esperto delle «vette» e degli «abissi» della condizione umana, nutrito di cultura politica e filosofica, mosso da urgenze evangeliche, alternative a quelle del cattolicesimo curiale: piacerebbe certamente a Papa Francesco.
Le stesse incantevoli poesie amorose e quelle mirate al recupero – quantomeno memoriale –dei valori della civiltà contadina mal si leggerebbero al di fuori di tale vasto, articolato contesto.
Giuseppe Rando