Ricordo che correva l’anno 2001 e papa’ Lilian era appena approdato a Torino per giocare nelle fila della Juventus. Arrivato da Parma, squadra in cui ha militato nel suo primo approccio con il calcio italiano, Lilian Thuram, francese di Pointe – a – Pitre Guadalupa, ha costruito una interessante carriera professionale, tale da essere considerato tra quel fine ’90 e gli inizi degli anni 2000, uno dei più forti difensori al mondo. Da sempre in prima fila nella lotta al razzismo, Lilian ha saputo costruire gli affetti familiari attraverso valori umani ed educativi che ha trasportato dal campo alla vita privata. Sposato con Sandra, dalla quale sono nati i figli Marcus (primogenito) e Khepheren, papà Lilian è stato esemplare calciatore e attento genitore. Quando è arrivato a Torino si è subito ambientato con facilità e quella parte bianconera della città Sabauda lo ha accolto a braccia aperte. Ricordo che abitava in quella zona prestigiosa della Crocetta, proprio dove oggi le antiche villette sono avvolte dal silenzio e dalla privacy delle isole pedonali. E qui, nei pomeriggi di bella stagione, in quei giardinetti Marcus ricorreva il pallone e giocava assieme ai bimbi della sua età sotto lo sguardo attento di mamma, mentre papà Lilian era impegnato negli allenamenti con la Juventus. Marcus è nato a Parma nel 1997 e quando è arrivato a Torino con i suoi genitori aveva quattro anni. Ricordo anche che la famiglia Thuram era vicina di casa di amici miei e quando io e mia moglie andavamo a trovarli, non potevo fare a meno di sedermi su una di quelle panchine per osservare con curiosità la caparbia voglia di inseguire e calciare quel pallone, che Marcus già trattava con piedi buoni. Era l’unico bimbo di colore tra altri piccoli calciatori, ma lui aveva qualcosa di diverso, di particolare che gli altri non avevano. È difficile, infatti, che un bimbo di quattro o cinque anni riesca ad alzare la testa per vedere il compagno più vicino e passare la palla. In genere si incolla lo sguardo a terra, si guarda il pallone e poi subito si tira per fare gol. Lui no, Marcus aveva già forza fisica e intelligenza tale da divertirsi nel gioco, con grande voglia di riuscire a far bene per la sua squadra. E non era per il fatto che fosse figlio di un campione affermato, ma, più semplicemente, questo suo toccar palla dava già l’idea di un predestinato. Fu così che mi feci subito l’idea di un futuro campione. Certo, non potevo sapere ciò che sarebbe accaduto in futuro, ma oggi, col senno di poi, posso dire di non essermi sbagliato a guardare con curiosità, seduto sulla panchina di quei giardinetti della zona pedonale della Crocetta di Torino, quel piccolo Marcus Thuram che oggi è diventato un campione affermato. Una bella storia di vita e di sport che mi ha fatto piacere raccontare.
Salvino Cavallaro