La storia di Daniele Scardina, il pugile che si trova in terapia intensiva dopo l’intervento al cervello a causa di un’emorragia celebrale, mi ha fatto pensare a come i pugni dati e presi nella vita, anche dal punto di vista metaforico, possano essere cause di un destino. Poche volte mi sono occupato di questo mondo del pugilato, tuttavia, quelle poche volte ho sempre scritto di uno sport duro, formativo per l’atleta, ma non più pericoloso di tanti altre attività sportive. Parlando più volte con Stefano Abatangelo “The Hammer” campione italiano dei mediomassimi, ho scoperto i lati di uno sport che devi sentirlo dentro più di ogni altra cosa. Sì, perché dietro la facciata di un’apparente pericolosità, quel dare pugni all’avversario e riceverli allo stesso tempo, non crea mai odio o sentimenti negativi di mancanza di umanità. No, è l’esatto contrario, perché gli atleti si rispettano più che in altri campi della vita. C’è la tecnica da curare, c’è il fiato e i muscoli da allenare, c’è il movimento continuo che ti fa schivare i pugni dell’avversario e c’è un ring che è il centro di un combattimento senza odio ma con la forza di vincere per ripagare i tanti sacrifici fatti per arrivare lì, in quella notte di luci e qualche ombra per chi perde. E’ la vita rappresentata sul ring, ma non la guerra tra due atleti. Ritornando alle informazioni che arrivano dall’ospedale, sappiamo che l’operazione a Daniele Scardina è andata bene e in questo momento rimane sedato. Tuttavia, non c’è il riscontro preciso che i pugni ricevuti abbiano provocato l’emorragia celebrale, anche perché Scardina nel momento in cui si è sentito male stava effettuando un allenamento leggero con il suo sparring partner. E allora non vorremmo che da questi casi,che qualche volta accadono nello sport, si facesse un dispendio di parole atte a distruggere uno sport che tanti giovani atleti amano. E’ lo sport del pugilato che quando vinci non ti cambia la vita dal punto di vista economico, ma ti fa diventare uomo forse prima di chi pratica altri sport. E resta il fatto che lo sport è vita e non morte.
Salvino Cavallaro