Eletto nel febbraio del 2021 presidente dell’AIA con il 60% dei voti, Alfredo Trentalange ha deciso di lasciare l’incarico di presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, poco più di un mese dopo lo scoppio del caso di Rosario D’Onofrio, ex procuratore capo AIA arrestato per traffico internazionale di droga. Dopo avere perso il controllo della giustizia arbitrale passata alla Federcalcio, il numero uno dell’Aia era così finito nel mirino del procuratore federale Chinè che gli aveva imputato, tra i comportamenti “disciplinarmente rilevanti”, la violazione dell’art.4.1 del codice di giustizia sportiva, ovvero del dovere di comportarsi secondo i principi di lealtà, probità e correttezza, avendo tra l’altro – da capo dell’Assoarbitri – la responsabilità di nominare i vertici degli organi di giustizia AIA. Secondo la procura, Trentalange – sentito dallo stesso Chinè – avrebbe omesso qualsiasi iniziativa volta ad accertare i reali requisiti professionali e di moralità di D’Onofrio.
Questa è la lettera scritta da Trentalange ai presidenti delle Sezioni: “Cari Presidenti, Dirigenti, Associati tutti, ho deciso di rassegnare le mie irrevocabili dimissioni dalla carica di Presidente dell’A.I.A. con effetto immediato. Sono certo di non avere responsabilità giuridiche mentre, per quanto riguarda eventuali responsabilità politiche, la risposta più bella, chiara, univoca me l’avete data Voi in quell’incontro che porterò per sempre nel cuore: credo, però, che rassegnare queste dimissioni sia la doverosa conclusione di un percorso che in questi giorni mi ha almeno permesso di poter dimostrare la mia correttezza e, soprattutto, onestà. Rassegno, allora, le mie irrevocabili dimissioni alla vigilia di un appuntamento dal quale nulla avrei ragione di temere ma che, purtroppo, altri potrebbero trasformare in un evento a rilevanza completamente diversa. Avverto il dovere di tutelare l’Associazione da ogni potenziale lesione del rispetto del principio democratico e di difendere la necessità che l’autonomia dell’A.I.A. sia preservata da ogni paventata ipotesi commissariale, perché la gestione associativa potrà continuare ad essere affidata a rappresentanti legittimamente eletti dagli associati, in assenza di una reale e persistente disfunzione di una struttura sicuramente integra anche dopo una vicenda penale e personale del tutto estranea alla nostra Associazione. Vi ringrazio per tutto l’affetto che mi avete dimostrato ma Vi chiedo, anche in questo difficile momento, di voler continuare ad operare e ad accompagnare l’intero movimento calcistico con il consueto spirito di servizio e senso di responsabilità nel pieno rispetto dell’ordinamento federale. Sono certo che lo farete. Un arbitro, infatti, rimane tale anche quando non è la realtà dei fatti, ma solo la pressione mediatica ad addebitare colpe inesistenti. Con grande rispetto verso tutte e tutti, anche di chi non lo ha avuto per me, dico semplicemente GRAZIE!”.
Fin qui la cronaca dei fatti che, comunque, al momento non certificano la colpevolezza di Trentalange in attesa di giudizio penale e sportivo. Come tanti casi giuridici del nostro Paese, ogni capo d’accusa deve essere sottoposto a giudizio in ambito dei processi penali, per cui, in questo momento nulla vieta di affermare la non colpevolezza con la relativa mancanza di responsabilità giuridica da parte dell’ex presidente dell’AIA Alfredo Trentalange. Ma c’è un motivo in più che mi spinge a sostenere la rettitudine di Trentalange perché ho conosciuto l’uomo, la persona perbene in più occasioni: una delle quali la riporto a seguire in questo articolo scritto a marzo 2021, subito dopo la nomina a Presidente dell’AIA.
“Importante è aprire i canali di comunicazione”.
Correva l’anno 2005 quando Alfredo Trentalange, dopo avere apposto il suo fischietto al fatidico chiodo da un paio d’anni, nel corso di una mia intervista fece cenno all’importanza della comunicazione.
Ricordo quel giorno, quell’incontro e quell’intervista che riuscii a fare soltanto dopo avere reso conto all’allora presidente dell’Aia Tullio Lanese – delle domande che avrei rivolto a Trentalange. Non era possibile fare riferimento ad arbitraggi di partita, no domande di tipo tecnico, ma un incontro con domande in generale. Erano gli anni in cui gli arbitri non potevano incontrare i giornalisti per fornire interviste e la Var rappresentava qualcosa di simile alla fantascienza. E allora pensai di conoscere l’uomo, la sua anima, il suo operato verso il sociale che sapevo fosse parte importante della sua vita. Ricordo che nonostante il divieto assoluto di fare domande tecniche che potessero mettere in difficoltà il mio interlocutore, ad un certo punto feci finta di niente e gli chiesi se il divieto di relazionarsi con i media dopo avere diretto una partita, limitasse in qualche modo il suo modo di essere. Questa fu la sua risposta: “Può darsi sì, può darsi no, perché è facile essere fraintesi e perché forse i tempi non sono ancora maturi. Tuttavia, penso che le persone intelligenti possano capire e comprendere anche il silenzio”.
Ecco, quella risposta mi fece capire quanto egli intendesse importante il rapporto con i media, anche alla luce di un miglioramento di rapporti con l’opinione pubblica. Dire “Ho sbagliato a infliggere quella tale punizione o quel rigore” non è lesa maestà per un arbitro, ma soltanto la capacità di ammettere lo sbaglio con onestà. Sì, perché sbagliano i calciatori, gli allenatori, gli addetti ai lavori e sbagliamo pure noi che scriviamo, importante é ammetterlo con tutta onestà. Oggi, a distanza di 16 anni da quella intervista, posso dire che Alfredo Trentalange nei suoi pieni poteri istituzionali di presidente dell’Aia (Associazione Italiana Arbitri) ha subito cominciato il nuovo corso proprio da quei canali di comunicazione che egli ha sempre tenuto in considerazione come fatto determinante nella carriera di un arbitro di calcio. “Vi chiedo di chiamarmi Presidente d’ora in poi, solo se ci saranno dei problemi. Se invece mi chiamerete Alfredo, capirò che possiamo ricaricare le pile e condividere, confrontarci come in uno spogliatoio e dire cosa abbiamo nel cuore”.
Si è presentato così il neo presidente dell’Aia, con queste chiare parole che mettono subito avanti lo spiccato senso dell’umano che avevo riscontrato allora in lui. Stesso il tono di voce, stesso il desiderio di relazione, stessa la voglia di ascoltare sempre tutti con alto senso di democrazia, rispetto e buona educazione. E’ il nuovo corso degli arbitri tanto sognato dal nuovo Presidente fin da quando calcava con autorevolezza i campi di calcio di Serie A e anche quelli internazionali. Una sorta di umanizzazione del fischietto che tocca filosofie atte a migliorare un mondo in cui spesso si riscontrano sentimenti di odio sportivo che alzano i toni ed enfatizzano gli eccessi peggiorativi dell’universo calcio. Sono molto contento di questa promozione di Alfredo Trentalange, non soltanto per quanto riguarda l’innovazione istituzionale che apporterà sicuramente con intelligenza e cognizione di causa, ma anche per il suo lato umano che egli svolge nella vita privata come – Fondatore e Socio Onorario dell’organizzazione di volontariato A.G.A.P.E. – che si occupa della promozione delle attività sportive e ricreative nel disagio psichico e sociale. Un percorso che parla dell’uomo, della persona, della sua sensibilità come valore aggiunto alle molte capacità professionali che egli ha saputo manifestare grazie a una qualità che è il frutto di tante esperienze. Ecco, ritengo che questa sua nuova carica di Presidente dell’Aia sia il giusto riconoscimento per quanto ha saputo fare nel suo lungo percorso professionale e umano.
Salvino Cavallaro