Essere giornalisti e non avere il tempo di scrivere un pezzo di commemorazione per la morte di un personaggio, che subito ci sono altre morti eccellenti che si intersecano repentinamente ai bagordi e ai festeggiamenti di fine anno. Si dirà che è la vita, che è la sua imprevedibilità, il suo essere persino irriverente nei sentimenti che non danno respiro, spazio alla gioia, che già devi raccontare il dolore. E’ la narrazione della vita che tra una riga e l’altra, tra un articolo e l’altro ci tocca mettere noi stessi nel compiere un lavoro in cui ti si chiede di attenersi ai fatti con scrupolosa precisione, rifinendo un prodotto deontologicamente accurato e attendibile nella sua informazione. Così, dopo avere raccontato la morte di Mihajlovic e di Pelé, il 31 dicembre ci è toccato scrivere della morte del Papa emerito Benedetto XVI. Le pagine del giornale in poco tempo si sono divise tra i commenti al discorso di fine anno del Presidente Mattarella, le morti eccellenti e i bagordi per l’anno nuovo, in una serata in cui la televisione trasmetteva lunghe ore dedicate ai trascorsi di Papa Ratzinger, per poi dare spazio a una lunga serata di canti e trasmissioni beneauguranti in una mezzanotte scintillante di luci, colori, abbracci, baci, mani e calici pieni di champagne che brindano alla speranza di un buon tutto. E intanto sei lì a dovere raccontare ogni attimo e a scrivere senza essere trasportato dai sentimenti. Ci sta, tutto ci sta in un contenitore chiamato vita, del quale siamo chiamati a narrarne i momenti, i fatti, le emozioni e le altalenanti situazioni che trasmettiamo attraverso il pigiare dei tasti del nostro computer. E’ essere giornalisti, è raccontare la vita in tutte le sue forme.
Salvino Cavallaro