Edson Arantes do Nascimento, noto al mondo come Pelè, ci lascia con un record di 1281 gol segnati in 1363 partite. Era la sublimità del gioco del calcio, la delicatezza intelligente nello sviluppo del dribbling, della tecnica, del tiro in porta e dei colpi di testa. Di lui, che è leggenda, si sono scritti fiumi di parole in una letteratura calcistica che ha cercato di descrivere al meglio la sua vita, fin da quando ragazzino scalzo e povero delle favelas, dava già l’idea di essere un predestinato. Il suo tocco magico con i piedi che sembrava accarezzassero il pallone, imprimeva stupore e meraviglia in coloro i quali di calcio ne sono innamorati. Ma era l’intelligenza tattica il suo forte, un qualcosa che si completava in una visione di gioco unica, particolare, che altri non avevano. Per questo è stato un mito non solo in campo ma anche fuori dal rettangolo verde, là dove ha saputo unire il mondo che l’ha accettato in tutto, anche per il suo colore della pelle capace di unire anche coloro i quali da sempre ne hanno fatto un distinguo di separazione tra bianchi e neri. Pelè ci ha lasciati dopo un’agonia lunghissima dovuta a un tumore al colon, a una operazione avvenuta un anno fa e alla conseguente debilitazione provocata dalla chemioterapia. “La vita è molto bella” diceva, nonostante avesse affrontato il dolore fisico con la forza e la dignità che solo i grandi uomini come lui hanno nel sorreggersi anche attraverso la religione, la preghiera e quell’affidarsi a Dio che resta pur sempre la vera speranza di ogni cosa. Come campione di calcio è stato più volte paragonato a Maradona: “Meglio Pelè o l’argentino Diego Armando?” E’ stato il tormentone del mondo del calcio di tutti i tempi, in cui si sono messi ai vertici i due nomi che sicuramente la storia ricordi come la massima espressione del football universale. Ma la risposta non ci sarà mai, semplicemente perché Pelè e Maradona hanno giocato in tempi diversi, in un football diverso e con palloni di peso differente. Sono due generazioni che hanno esaltato certe peculiarità stilistiche capaci di metterli a confronto ma, secondo il nostro avviso, il confronto non esiste. E quindi, non uno meglio dell’altro ma entrambi meglio di tutti. Probabilmente nessuno vincerà mai un mondiale a 17 anni, così come ha fatto Pelè, segnando tre volte in semifinale contro la Francia e due volte nella finale con la Svezia di Liedholm. Un campione che è stato non solo leggenda ma anche narrazione da parte dei suoi stessi colleghi calciatori. “Prima di affrontarlo nella finale dei campionati del mondo del 1970” diceva l’azzurro Burgnich “mi ripetevo che anche Pelè era fatto di carne e ossa forse cave come negli uccelli”. Ma al minuto 18 di Italia – Brasile, Pelè decollò in un volo capace di lasciare di stucco lo stesso difensore azzurro, mentre il pallone si infilò dritto in rete, neutralizzando ogni tentativo di parata da parte del portiere della nostra Nazionale Italiana. E’ stato il librarsi verso l’alto e la porta, con il pallone che gli è carambolato sulla fronte mentre gli occhi guardavano il cielo, quasi fosse stato un volo d’angelo. Ed è bello narrare il calcio così, come fosse poesia, come romantici momenti di emozione che solo gli immortali ti sanno regalare. Ed Edson Arantes do Nascimento detto O Rey è stato tutto questo e anche qualcosa di più. Sì, perché quando certi campioni di pura raffinatezza, così com’è stato Pelè, ti fanno immergere in una narrazione fatta di football e vita, allora tutto diventa incanto. Grazie di essere vissuto O Rey, anche se per tutti noi vivrai per sempre. Tu sei la storia del calcio mondiale.
Salvino Cavallaro