E’ la dolce poesia del calcio che porta a innamorarsi più che del fatto tecnico – tattico, di quel modo di romanzare ciò che ci sta intorno, ciò che si focalizza nella persona, nella sua storia, nel suo vivere le emozioni fatte di gioia e sconfitte, di sorrisi, ma anche di lacrime. E’ quella sorta di rappresentazione della vita che si manifesta in un campo di calcio e che si tramuta nella narrazione dei sentimenti. Riprendiamo il racconto della vita “Dal verde del prato e dall’azzurro del cielo”, così consigliava il giornalista Vladimiro Caminiti al giovane cronista Darwin Pastorin. Parole che sono rimaste immortalate nell’anima e che sono valse a dare una precisa collocazione di cronista sportivo che “disegnava” il calcio con i pennelli e i colori della poesia. Mi è capitato di intervistare Darwin Pastorin forse più di una volta e, in tali occasioni, ho avuto modo di scoprire l’anima del giornalista scrittore ma, soprattutto, dell’uomo e della sua tanta sensibilità. “Quando mi metto a scrivere sono felice”. E’ la sua verità, ciò che sente intimamente, ciò che lo gratifica, ciò che da sempre ha avvertito fin dalla sua tenera età. E non è un caso che in una mia intervista disse: “Il giornalismo è la mia vita, la mia passione, il mio sogno realizzato”. Nato a San Paolo del Brasile, Darwin Pastorin, che è figlio di emigranti veronesi, si trasferì in Italia quando aveva sei anni, grazie a suo padre che ebbe l’opportunità di sfruttare una proposta di lavoro da parte di una ditta di mobili di Torino. Era il 1961 e la città piemontese era in fermento sotto l’aspetto economico e industriale. “Ho sempre avuto la mania di scrivere fin da bambino”– dice Darwin Pastorin– “Ricordo ancora il mio primo giornalino composto da soli due fogli a righe. Frequentavo la scuola elementare ed ho venduto per dieci lire un’unica copia a mia mamma. Poi, in terza elementare che frequentavo nella scuola Silvio Pellico, il mio maestro Ugo Pagliuca mi chiese cosa mi sarebbe piaciuto fare da grande e io risposi senza alcun dubbio che avrei voluto fare il giornalista. Poi ho continuato ai tempi del Liceo e, mentre studiavo, scrivevo per il Piemonte Sportivo, un settimanale che si occupava del calcio minore”. Cominciò così una storia bellissima in cui la passione si è intersecata perfettamente a una professione che Darwin Pastorin ha interpretato in maniera personale, per effetto dei suoi tanti sentimenti che attraverso la penna si materializzano ancora oggi con fare poetico. E’ la bellezza di una scrittura che emoziona, che fa vivere momenti di narrazione sportiva intensa, così come quando il pallone entra in porta e fa gridare GOL. Sì, proprio quell’emozione che scaturisce anche nei ricordi di ciò che è stato del calcio e dei suoi personaggi indimenticati come Enzo Bearzot che Darwin Pastorin rievoca nel suo ultimo libro intitolato “Lettera a Bearzot” Il Vecio, Pablito, il Mundial ’82 e altri incantesimi, edito dalla Compagnia Editoriale Aliberti. Quarant’anni dall’indimenticabile notte del Bernabeu. Una lettera a cuore aperto a Enzo Bearzot, al Vecio, l’artefice numero uno del trionfo mondiale del 1982. Un viaggio a ritroso nel tempo e nella nostalgia, dal Brasile a Torino, fino alla notte di Madrid. Il ritratto di un uomo sincero, dalla schiena dritta, un Don Chisciotte che non ha mai smesso di seguire i propri ideali ed essere fedele ai suoi valori. Un grande italiano di ieri, che avremmo ancora tanto bisogno di avere ancora qui, oggi, in questo presente smarrito. Già, un uomo sincero Enzo Bearzot, così come Pablito Rossi, Diego Armando Maradona, Pietro Anastasi, tutti personaggi di un calcio che in fondo assomiglia a Darwin Pastorin che di letteratura sportiva vive da sempre attraverso i suoi interlocutori i quali gli hanno aperto i cassetti dell’anima. E lui li ha amati e continua ad amarli ancora perché rappresentano il ricordo indelebile di tanti momenti in cui il suo giornalismo ha avuto la stessa dolcezza di una poesia. La poesia del pallone e dei sentimenti che nascono dall’uomo.
Salvino Cavallaro