Annamaria Pajno, Il mare dentro, Rupe mutevole, 2022

La seconda silloge poetica di Annamaria Pajno, Il mare dentro, affascina fin dal titolo, per quel dentro, avverbio dell’introspezione e dell’interiorità, che, fra l’altro, ci porta immediatamente al “mare” della poesia.

Spesso, infatti, la materia poetica è stata paragonata al mare e l’esperienza poetica alla navigazione. Basti per tutti l’esempio di Dante: Per correr miglior acque alza le vele /omai la navicella del mio ingegno, /che lascia dietro a sé mar sì crudele (Pg.I, 1-3), e, ancora, Pd. II, 1-7: O voi che siete in piccioletta barca, /desiderosi d’ascoltar, seguiti/dietro al mio legno che cantando varca, /tornate a riveder li vostri liti: non vi mettete in pelago, ché forse, /perdendo me, rimarreste smarriti. / L’acqua ch’io prendo già mai non si corse. Subito dopo, il poeta afferma che solo coloro che si sono nutriti a lungo del pan de li angeli (v. 11) possono mettere per l’alto sale il loro navigio (vv. 13,14).

Ciò ricorda al lettore di ogni tempo che la poesia è un mondo con le sue caratteristiche, le sue regole, il suo linguaggio, che bisogna conoscere, se la si vuole capire e godere pienamente.

Ad esempio, per quanto riguarda il contenuto, è bene ricordare che, in poesia, ciò che non si avvera è presente e reale quanto ciò che si avvera: come sulla luna di Ariosto, nel mondo poetico si ritrova tutto ciò che si è perduto camminando sulla terra, e il poeta, cavaliere lunare, fa un viaggio, come Astolfo, a ricercare e recuperare i beni perduti o mai posseduti, talvolta neanche esistiti, ma che la parola poetica chiama alla luce.

Insomma, la poesia si nutre, e questo è parte della sua magia, di una realtà molto più larga e profonda di quella contemplata dalla ragione, e il poeta, “folle”, smargina dalla mera razionalità, come l’innamorato, e ne supera i limiti: è quella sana follia di cui l’autrice scrive nella dedica: Un sorriso alla sana follia…/ che ci faccia sempre compagnia.

Così, l’io lirico, nonostante la malinconia, la fatica del dolore e il peso della sconfitta, può inventare il viso amato e lontano e regalarsene il sorriso, incorniciandolo tra il primo bagliore/e l’ultima stella sul mare (Ultima stella): una fotografia scattata dall’anima!

Il poeta, come nessun altro, sa accogliere le contraddizioni che abitano l’abisso dell’animo umano, dove egli scava da “minatore”, e le porta in superficie, mentre l’uomo comune tende a non farle emergere, a smussarle, a levigarle: il poeta scavalca la realtà visibile, per cercare il vero!

Le sue magnifiche contraddizioni sono spesso segnalate dai “ma”, autentiche e feconde inversioni di rotta, che superano le strettoie della ragione e aprono allo stupore di mondi sconosciuti. Forse, l’esempio più famoso di questa audacia poetica è il carme foscoliano “Dei Sepolcri”, meraviglioso superamento del credo illuministico, che la ragione del poeta non può non accogliere, mache il cuore ripudia.

Questi “ma” si incontrano nella silloge di Annamaria Pajno: la persona amata è lontana, è una partita perduta e, addirittura, non vissuta, ma, nonostante ciò, non solo è il primo pensiero dell’io lirico, ne è la sua costante compagnia: la ricchezza della vita interiore fronteggia i poveri limiti del reale! (Ti porto con me). Così anche in Vento da nord, dove si accusa una perdita, una luce che si spegne…Ma continuo/ ad aspettarti. / Continuerò a sognarti. Sogno poetico tenace, come aggrappato ad una sua segreta radice, che gli consente, ancora una volta, di sporgersi dove la ragione non osa. Il cuore è il reliquiario di ogni assenza, lì si conservano i ricordi (In fondo al cuore), che, come detriti portati dall’onda, tornano intatti(Riflessioni di settembre).

La parola poetica, dunque, crea nuovi spazi, abbatte confini, accosta cose che appaiono lontane, stabilendo analogie inaspettate, come tenendo in mano, insieme con il proprio cuore, anche l’universo; la vita interiore dialoga costantemente con la natura, che spesso sembra essere al servizio dei sentimenti: Non è vero che sei passato. / Lo sento…/ quando infuria il vento (Il tuo pensiero), e partecipare all’umano dolore: Il canto di un gabbiano ferito, / per un sogno finito (Malinconia); Nuvole rosa, / come ferite/insanguinate (Mesto addio).

Il mare, poi, è così presente e denso di significati che, nella lirica che chiude la raccolta, l’io lirico, rivolgendosi al “tu” amato, gli dice che è mare, e che continua ad amarlo, anche nella sua mutevolezza, benché il cambiamento generi paura (Sei mare).  Infatti, è ripetutamente espresso il bisogno di restare ancorati a qualcosa, a qualcuno: Tu stringimi piano, / fa che io non vada lontano…. Dimmi una bugia…/Non andrò più via (Bugia): una richiesta irrazionale, ma che mette a nudo un bisogno insopprimibile.

Dello stesso tenore gli ultimi versi di Voglio restare: Tienimi con te. Stringimi forte. / Non mi fare scappare. /Perché voglio restare.

Costante è la ricerca di un punto fermo, eppure la vita resta sospesa e avvolta nella solitudine: Come gabbiano.  /Sospesa. /Tra cielo e mare. /Tra speranza ed amore (Era febbraio); o tra essere/e morire (Alchimia); o, ancora, tra dimenticare /o continuare ad amare (Vita sospesa); in ogni caso, siamo lupi solitari, /con percorsi amari (Siamo viandanti), con sogni senza futuro e tempeste che tornano (Sogni senza futuro; Le tempeste non finiscono mai).    

Ma emerge da molte liriche una meravigliosa resilienza: Ma poi… / ti ritrovi a cantare. /Ricominci a sognare (Nebbia); oppure: L’ansia s’avvinghia alla mente, /ma il pensiero /si adagia dove il sole stende, / una trama luminosa sul mare (Crepe). Succede anche il miracolo che spunti un fiore dalla cenere (Cenere) o che un improvviso battito di cuore segnali il ritorno alla luce della vita (Raggio di sole) e alla serenità: Serenità ritrovata. / Ѐ pace intorno,/mentre aspetto un nuovo giorno. /Danzo leggiadra, / cantando lungo la strada (Cantando lungo la strada).

Così, benché il cammino sia sempre stretto fra gli opposti (Ricominciare a sognare), si possono cogliere i frutti maturi di un percorso doloroso e aspro, che sviluppa coraggio e ferma accettazione della verità: E sarò ad attenderti, /ma saprò anche perderti (Ho imparato a volare), e, in Pensami…, la stessa fermezza e forza d’animo: Ma se il tuo pensiero/ mi abbandona…/Se il tuo cuore/ si allontana…/Non ti affannare. /Non mi cercare. /Non mi potrai più trovare.

Insieme alla crescita umana, emerge anche, a mio avviso, una crescita artistica, riscontrabile in un sapiente intreccio fra paesaggio esterno e paesaggio interiore, già presente nella prima silloge, ma qui evidenziato dal maggiore spessore compositivo di molte liriche: Sole d’aprile, Così che tu non mi possa scordare, Nuvole barocche. In quest’ultima, in una sorta di gioco o, forse, di sacro rito fra anima e natura, il sole, sbucando attraverso le nuvole e penetrandonell’anima indifesa, la spinge al sogno e all’amore.

Nuovo e denso di pietà è, infine, lo sguardo sul mondo ferito e reso più confuso e incerto dalla pandemia (Mondo ferito), costretto a maschere che spengono i sorrisi e accentuano il senso di solitudine, mentre l’io lirico sogna l’incanto dei fiori (Distanziamento sociale).

Nella silloge, questi temi sono tenuti insieme da una fitta trama musicale creata da assonanze, consonanze, allitterazioni e,soprattutto, dalla forte presenza della rima, di solito baciata; una cantilena avvolgente e terapeutica, quasi a voler consolare l’animache soffre, ma cerca anche rimedi e vie d’uscita dai labirinti della vita, e non intende arrendersi, pervenendo, infine, alla scoperta di risorse che restano celate dentro l’uomo, fino a quando non sipresenti la necessità di prenderne coscienza e farsene un baluardo, nell’attesa che la tempesta si plachi: Mi piego. /Barcollo. /Non mollo(Le tempeste non finiscono mai).

Maria Lizzio

           

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