Il Superbonus 110%, in un momento di crisi generale, rappresenta un’importante azione di rilancio dell’intero settore delle costruzioni e favorisce la sostenibilità ambientale, la rigenerazione urbana e la valorizzazione del patrimonio immobiliare”. Più di una volta abbiamo sentito queste frase soprattutto all’inizio di quello che è stato il boom di un’idea promossa dal governo, per usufruire degli incentivi europei ai fini della sostenibilità ambientale e la valorizzazione del patrimonio immobiliare. Che poi nel progredire dell’opera siano sopraggiunti purtroppo problemi collaterali allo scopo da raggiungere, è purtroppo un dato di fatto con il quale ci troviamo a confrontarci giornalmente. Infatti, prima il Covid, poi la guerra ancora in atto, hanno sicuramente ritardato i tempi di ultimazione lavori previsti in un lasso di tempo accettabile. Tuttavia, in tutta questa grande opera di miglioria dello status ambientale, non si è tenuto conto della conseguente non umanizzazione del vivere quotidiano. Sì, perché una cosa è vedere costruire un palazzo nuovo di sana pianta in un cantiere non ancora abitato, e un’altra cosa è vivere il cantiere Superbonus 110% con all’interno numerose famiglie che vivono in condomini di palazzi da dieci e più piani. Un lavoro improbo dal punto di vista pratico, che fa capo all’impianto dellegru, al deposito della merce che per forza di cose ha trovato spazio soltanto in punti delicati dei condomini, come ad esempio i giardini tenuti in ordine per tanti anni, e poi, non per ultimo, quell’alzata repentina dei ponteggi che per la sicurezza devono essere avvolti da fitte reti antinfortunistiche sia dal lato facciata A che dal lato B. E pur rendendosi conto delle tante difficoltà apportate nelle case private, che si vedono entrare e uscire operai a tutte le ore del giorno, lungo le passerelle dei ponteggi antistanti ai propri balconi, c’è da dire che da due lunghi anni alcuni condomini si trovano a vivere in situazioni di polvere che si infiltra ovunque e qualità di vita pessima per condizioni dovute al modus operandi delle varie industrie edili appaltatrici dei lavori, le quali, nonostante le dovute accortezze, non possono certamente evitare lo stridio dei rumori fastidiosi, calcinacci, acqua che sgorga a fiumi dai ponteggi per pulire periodicamente certi lavori ultimati; e poi l’entrata in casa propria (previo appuntamento da concordare) per la sostituzione di infissi e tapparelle previste dal Superbonus 110%. Tutto ciò fa parte del lavoro altrui che è sempre da rispettare – questo è certo – tuttavia, resta la difficoltà per ogni condomino di sentirsi padroni in casa propria, di vivere la propria serenità perduta. E si faccia presente che il lungo periodo in cui il cantiere in attività procede per definire i lavori, ha apportato anche situazioni di ansia che spesso ne minaccia la salute della gente. Abbiamo infatti sentito parlare di problemi psicosomatici in soggetti particolarmente sensibili, i quali già nel vedersi chiusi dai lunghi ponteggi, hanno somatizzato situazioni che, associati al timore della pandemia da covid e tragedie che stanno facendo capo alla guerra tra Russia e Ucraina, hanno peggiorato anche il loro stato di salute fisico e mentale. Certo, non è una cosa da sottovalutare, soprattutto in coloro i quali essendo in attività lavorativa tornano a casa per riposarsi, ma così, in queste condizioni, non possono farlo. Allora ci domandiamo se tutto questo allungare dei tempi di fine lavori è proprio dovuto solamente alla mancanza di arrivo dei materiali richiesti che la guerra in corso ha rallentato? Oppure c’è anche una sorta di non perfetta organizzazione delle aziende edili che sono partiti in tutta velocità per acquisire l’appalto, mentre poi hanno riscontrato problemi non previsti all’inizio come, ad esempio, la mancanza di manodopera specializzata e non? Tutto è possibile e tutto può essere vero e rispettabile, tuttavia, sta di fatto che pur sostenendo l’importanza dell’opera ai fini della sostenibilità ambientale nell’area urbana, c’è un crollo della pazienza generale delle persone che ad un certo punto dicono: “BASTA, non ne possiamo proprio più!”.
Salvino Cavallaro