“Quel pezzo mancante di verità” che servirebbe a far luce sulle stragi del ’92, è quello che lo Stato non è ancora riuscito a restituire al Paese, neanche ventotto anni dopo il 19 luglio di sangue in cui Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta saltarono in aria per l’esplosione di un’autobomba il via D’Amelio, a Palermo, dove stamane il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, si è recato per ricordare che la questione è proprio questa: continuare a cercare il pezzo che manca.
Le manifestazioni di oggi, condizionate dall’emergenza dettata dalla pandemia, si aprono con un messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “La limpida figura del giudice Borsellino – che affermava, che chi muore per la legalità, la giustizia, la liberazione dal giogo della criminalità, non muore invano – continuerà a indicare ai magistrati, ai cittadini, ai giovani la via del coraggio, dell’intransigenza morale, della fedeltà autentica ai valori della Repubblica”.
Alle 16.58, l’ora in cui 28 anni fa avvenne la strage, i presenti in via D’Amelio (tra loro il presidente della Commissione nazionale Antimafia Nicola Morra, l’ex presidente del Senato Piero Grasso) osservano un minuto di silenzio, preceduto da un accorato appello dell’unico sopravvissuto alla strage, l’agente Antonino Vullo: “Dobbiamo essere vicini ai magistrati che stanno cercando la verità, e non lasciarli soli come è accaduto a Falcone e a Borsellino”. Accanto a lui c’è Salvatore, il fratello del magistrato che fu assassinato mentre si recava a casa della madre in una domenica come quella di oggi, dopo aver visto in tv – racconta Salvatore Borsellino – una tappa del tour de France. Quel tentativo di “normalità”, già compromessa dalla strage di Capaci avvenuta 57 giorni prima, fu interrotto per sempre il 19 luglio 1992. E da lì, come hanno scritto i giudici di Caltanissetta nella sentenza Borsellino quater, iniziò “il più colossale despistaggio nella storia d’Italia”. Salvatore Borsellino ribadisce che la chiave del mistero è nell’agenda rossa del magistrato, scomparsa dopo l’attentato.
Resta il fatto che non c’è ancora verità per l’uomo che “seppe stare dalla parte giusta”, come dice la sorella di Giovanni Falcone, Maria. Quella verità che alla vigilia del 19 luglio ha chiesto il presidente dell’Antimafia regionale Claudio Fava, il cui padre fu ucciso dalla mafia nell’84, invitando tutti a occuparsi del presente, a indagare e a liberarsi della “liturgia delle celebrazioni”. Celebrazioni che hanno dovuto ridimensionare momenti come la fiaccolata, che al calare della luce si svolgeva nel tratto che va dal luogo della strage alla piazza Vittorio Veneto, davanti al monumento dei caduti.