E’ un’emozione incontenibile per tutti osservarlo sul palco che, onnipresente, percorre in lungo e in largo con la sicurezza e la determinazione che solo l’esperienza, la serietà professionale e, soprattutto, l’amore sviscerato per il proprio lavoro, possono davvero dare. Ci riferiamo a Leo Gullotta, splendido interprete, al Vittorio Emanuele, nei panni del prof Toti, della pirandelliana “Pensaci Giacomino”, per la regia di Fabio Grossi. Sempre vigile ed attento alle complesse articolazioni della trama che guida ed indirizza con fermezza, l’attore etneo propone uno sviluppo armonico della piéce a cui infonde spontanea risolutezza, non trascurando di offrire interessanti spunti di riflessione a cui lo stesso esperto artista conduce, quasi per mano, lo spettatore, adoperandosi, con accortezza, in un calibrato e vivido incedere recitativo, peraltro, abilmente intercalato con studiate pause che, via via, infondono ai dialoghi sempre maggiore forza ed incisività. Ben coadiuvato da un cast, in genere, assai coeso e, certo, impeccabile quanto a rispetto dei tempi oltre che nella sincronica coerenza tra i personaggi, composto da Liborio Natali, Rita Abela, Fererica Bern, Valentina Gristina, Gaia Lo Vecchio, Marco Guglialmi, Valerio Santi e Sergio Mascherpa, Gullotta, in occasione della prima peloritana offre il meglio di se, donando alla folta platea, allettata dal ghiotto appuntamento, un gradevole insieme di intense emozioni e di forte carica emotiva, che nemmeno il ricercato umorismo di alcune scene riece a smorzare; divenendone, al contrario, sagacemente pilotato, ulteriore canale di propagazione. L’intelligente e quanto mai attuale rilettura di Fabio Grossi che, non a caso, ambienta il lavoro nella ricca Italia postbellica, nell’eterna distriba tra due diverse generazioni, rimanda, oltre che alla cronica condizione di disagio degli in cui varsano gli insegnanti della scuola italiana, ieri come oggi bistrattati da uno Stato che sembra volerli ignorare e da una società che non ne vuol riconoscere i meriti, anche da una sorta di opportunistica chiusura popolare, spesso incline alla misogenia, che finge di non capire, scegliendo di scagliarsi contro ad ogni costo, a scapito del più debole e di chi sceglie di non volersi allineare. Il nucleo familiare, la sua primaria valenza, il suo labile equilibrio, sembra il magico fil rouge della messinscena e culmina proprio nella scena finale che vede Giacomino ravvedersi ed accettare, anzi, meglio, desiderare, di prendersi, finalmente, cura di suo figlio. L’essenzialità delle scene movibili, disegnate, unitamente ai costumi, da Angela Gallaro,sorreggono e, non di rado, irrobustiscono l’azione con gradevoli chiaroscuri che sagacemente le fissano in illuminanti immagini chiarificatrici dell’intero contesto. In linea, infine, le musiche di Germano Mazzocchetti ed i brani cantati da Claudia Portale. Lunghi ed ampiamente meritati gli applausi.