Sembra ieri che abbiamo festeggiato il Natale, che ci siamo scambiati gli auguri di rito e già siamo vicini a Pasqua. Se non fosse banale direi: “Come passa in fretta il tempo”. Già, il tempo che fugge via velocemente, che cambia tante cose e che quasi sempre ti lascia il rammarico di non aver saputo cogliere l’attimo fuggente. “Carpe diem”, è l’eterno problema mai risolto dell’umanità. Tutti conosciamo il suo significato teorico, ma nessuno di noi è in grado di metterlo in pratica. E chissà se riuscissimo davvero a cogliere il momento o i vari attimi della nostra vita, probabilmente non saremmo neppure uomini ammantati come siamo di tante innumerevoli fragilità. Un po’ come dire che nessuno è perfetto e, come tale, il non sapere cogliere l’attimo resterà per sempre la caratteristica mai risolta della nostra vita terrena. Oggi, come dicevo, siamo vicini a Pasqua, la Pasqua di Risurrezione. E’ la festa più importante del Cristianesimo, il cuore pulsante della nostra Fede in Dio. Sembra ieri che abbiamo adorato la nascita del Bambino Gesù che già oggi riviviamo i tradimenti, le cattiverie, i soprusi, la Passione, la Morte e poi la Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. Un appuntamento annuale che ci fa molto riflettere. E nonostante siano passati secoli da quel fatidico giorno, la storia dell’umanità si ripete sempre con la stessa cadenza metodologica del male che è fatto di perfidia, di odio e di infiniti tradimenti. E si ripetono pure i personaggi e i fatti dell’ultima cena, con il triplice rinnegamento di Cristo da parte di Pietro e il tradimento di un Giuda venale. Segno di una storia che con i suoi accadimenti caratterizza la fragilità dell’uomo e il mondo in cui vive. Il bene e il male che si rincorrono sempre, proprio come se uno avesse bisogno dell’altro per significare la vita stessa. Ma c’è un altro aspetto importante della Pasqua che invece ci rallegra, ed è la speranza. La luce dopo il buio, o se volete la quiete dopo la tempesta. Risurrezione è questo, è speranza in un futuro migliore. Dalle parole di disperazione e di umana fragilità di Gesù Crocifisso: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” si passa alla Pasqua di Risurrezione, e cioè alla fine della sofferenza. E’ il segno emblematico del nostro percorso di vita, la croce che ciascuno di noi deve portare e le cadute che facciamo nella speranza di poterci rialzare; qualche volta da soli e qualche altra volta aiutati dai nostri affetti più cari. Un appiglio cui aggrapparsi sempre per continuare, anche se la salita è dura. E’ l’eterna storia della vita terrena; si nasce, si cresce, si soffre, qualche volta si sorride, si piange e poi il tempo passa e cambiano le cose, così come cambiamo noi che non siamo più quelli d’una volta. E’ la legge dalla quale nessuno può sottrarsi, è un passaggio obbligato. Ma oggi non pensiamoci, prepariamoci a vivere serenamente e con gioia la Santa Pasqua. Chi è credente e chi non lo è, si ponga domande sul significato della vita. E poi speriamo che Pasqua rappresenti davvero il segno della rinascita, l’inebriarsi di un profumo di vita che sprigioni l’ottimismo e ci faccia stare tutti meglio. In fondo, chi è ammalato, chi è disperato, chi non ha il lavoro, chi ha difficoltà di vivere un quotidiano talora fatto di stenti, chi ha perso la fiducia in se stesso e non vede la vita come unico senso di ogni cosa, forse non porta “QUELLA CROCE ?”
Salvino Cavallaro