C’era una volta un papà. Si chiamava Giuseppe, ma tutti lo chiamavano Peppino. Era nato in Sicilia, a Giarre in provincia di Catania. Fin da piccolo aiutava suo papà a tagliare la legna nei boschi; un lavoro pesante, troppo duro per un bimbo della sua età, ma gli dava da vivere. Poi, quando divenne più grande, si arruolò nell’Arma dei Carabinieri e, prima di partire per la guerra in Africa conobbe Angelina, una bella signorina siciliana, anche lei della provincia di Catania, della quale si innamorò e decise di sposarla.
Intanto era arrivato il momento della partenza. Peppino si imbarcò su una nave da guerra a Taranto alla volta di Addis Abeba, assieme a un plotone di altri militari. Fucili e mitraglie gli erano stati affidati per combattere il nemico, ma egli non aveva molta dimestichezza con le armi e con le uccisioni. Era buono, Peppino, dolce di carattere e amabile nel rapporto con gli altri. Mai uno schiaffo ai propri figli e anche i suoi toni erano pacati e mai oltre il limite della sopportazione. La guerra non era proprio fatta per lui,
uomo di indole generosa e sempre rispettoso del suo prossimo. Ma la guerra è guerra, e Peppino che si era arruolato nei Carabinieri perché quel lavoro rappresentava la certezza del futuro, dovette ubbidire agli ordini dei superiori e adattarsi a quel periodo storico.
Durante il tragitto in mare aperto, il nemico che sorvolava in alto sugli aerei bombardò la nave sulla quale viaggiava Peppino, e affondò. Furono momenti tragici. Era notte fonda, e in mare aperto Peppino vedeva galleggiare accanto a se i suoi compagni di viaggio che erano tutti morti. Egli stava a galla assieme a loro, fingendo di essere morto per non farsi uccidere dal nemico. Passarono tante notti e tanti giorni senza poter muovere braccia e gambe per nuotare liberamente; era troppo rischioso. Fu assalito da crampi e il freddo della notte e la denutrizione avevano ridotto Peppino al limite della resistenza fisica. Poi, quando stava quasi per morire, arrivò una nave amica. Peppino fece fatica ad alzare il braccio per farsi vedere. Fu un colpo di fortuna inaspettato, uno di quegli episodi che gli hanno fatto capire che non era ancora giunta la sua ora. Lo presero e lo portarono sulla nave per ridargli la vita. Peppino era smagrito, nudo e infreddolito. Tremava, ma era la reazione e la consapevolezza del pericolo scampato, era la paura della morte che aveva visto con gli occhi.
Intanto, sua moglie Angelina che non aveva più avuto sue notizie da parecchie settimane, fu assalita dal pensiero angosciante che Peppino fosse morto. E, infatti, visse per parecchi mesi ancora con il pensiero fisso che il suo sposo l’avesse lasciata per sempre senza neanche avere il conforto di vedere il suo corpo, almeno per l’ultima volta. Ma Peppino, debole com’era, aveva bisogno di tutto e di tutti. Fu portato in ospedale in Africa e lì fu curato nell’accampamento degli italiani. Dopo qualche mese di cure intense, Peppino ritornò lentamente alla vita e gli fu dato il permesso di ritornare in patria. Così, intraprese il viaggio di ritorno verso la sua terra e i suoi affetti più cari. Ritornò a casa pallido e dimagrito e, quando si presentò davanti a sua moglie Angelina, fu un’emozione indescrivibile per entrambi. Peppino era ritornato alla vita, tra la sua gente, la sua famiglia che lo ricoprì di quell’affetto che per troppo tempo gli era mancato. Poi, con il passare degli anni, l’Appuntato dei Carabinieri Peppino, diventò ancora papà per la seconda e terza volta.
Era il segno della vita che ricominciava proprio in concomitanza con la fine della guerra. Alla fine della sua onesta carriera di militare, fu trasferito a nord d’Italia con tutta la sua famiglia. Erano gli anni del boom dell’industrializzazione in cui tanti meridionali, dopo avere abbandonato le coltivazioni della propria terra, abbracciavano il miraggio del benessere economico pur con tutte le difficoltà d’inserimento in una cultura sociale completamente diversa dalla propria. Era il tempo in cui si leggevano i cartelli: “AFFITTASI NON A MERIDIONALI”. Peppino, però, garante della sua divisa da Carabiniere non ebbe alcun problema di questo tipo e, nonostante la generale discriminazione di popoli, trovò casa in affitto proprio davanti alla caserma dove egli giornalmente andava. Era scrivano in un piccolo ufficio della Caserma, e lavorava con dedizione, senso d’appartenenza, precisione e assoluta onestà professionale. Ma, passarono pochi anni e Peppino andò in pensione. Fu un giorno malinconico quello, un percorso di vita professionale che si è chiuso tra mille ricordi. Deporre quella divisa scura a bande rosse sui pantaloni, che per tanti anni era stata sua inseparabile amica, non fu facile. Ma non fu facile neanche consegnare il cappello, emblema e orgoglio di onestà infinita. Di una sola cosa Peppino non si privò; il pennacchio rappresentativo della grande uniforme, cui spiccavano i colori rosso – blu dei Carabinieri. Ma Peppino ormai, non faceva più parte di quell’Arma, non era più l’Appuntato dei Carabinieri che aveva rischiato di morire per la Patria. Ora era un uomo qualunque che doveva necessariamente reinventarsi nella vita che gli si presentava davanti.
Trovò un lavoro presso una sala cinematografica del nord Italia ma, pur continuando il suo impegno con l’onestà e la precisione che gli era connaturata, per Peppino non fu la stessa cosa. Troppo diversa la vita militare, troppi ricordi indimenticabili si moltiplicavano nella sua mente. Ma era intelligente e, anche se era di poche parole, non fece difficoltà a significare a tutti il suo adattamento a una vita diversa, che gli permetteva di continuare a mantenere dignitosamente la sua famiglia. Poi, improvvisamente, in un freddo giorno di dicembre fu colpito da infarto fulminante nella sua casa. Peppino non ebbe neppure il tempo di riflettere com’è strana la vita, come in un attimo tutto possa cambiare e come in quell’ormai lontano periodo di guerra egli si salvò dalla morte dopo tanto penare. Ora giace inerme, la sua vita è finita in un attimo nel caldo letto di casa sua. Quella nave affondata dal nemico e quel gelido mare aperto che l’ha visto fingere la morte sotto le raffiche dei proiettili che arrivavano impetuosi dal cielo, fa ancora una volta pensare che la vita è sempre legata a un filo. Qualche volta si
spezza con un alito di vento e, qualche volta è resistente come un fil di ferro.
E’ il mistero della vita stessa che Peppino si è portato con sé senza avere una risposta. C’era una volta un papà.
Quel papà, era il mio!
Salvino Cavallaro