Ancora lo stretto di Messina, ancora il mitico luogo ispiratore di tanti romanzi scritti da Nadia Terranova, una messinese che vive a Roma. Per Einaudi nel 2015 ha pubblicato “Gli anni al contrario” vincitore di numerosi premi tra cui il Bagutta Opera Prima, il Brancati e l’americano The Bridge Book Award. Nel 2018 la ritroviamo nelle migliori librerie d’Italia con il suo “Addio fantasmi” che ha ricevuto un notevole successo di critica letteraria, essendo anche finalista nel 2019 dell’ambito Premio Strega. Nadia Terranova è tradotta in tutto il mondo, collabora con le pagine culturali di “Repubblica e “La Stampa”, cura su “Vanity Fair” la rubrica settimanale “Sirene” – ritratti di donne contemporanee – ed è curatrice di “K”, la rivista letteraria de “Linkiesta”. Davvero un orgoglio per quell’angolo di mondo in cui la Sicilia è divisa dalla vicina Calabria soltanto dal punto di separazione tra i due mari Ionio e Tirreno. E’ “U strittu”, così come viene detto in dialetto, è quel punto che Nadia Terranova vede come mare in cui non si scorge l’orizzonte ma il muro della Calabria di fronte alla Sicilia.
Dunque, in questa sua ultima fatica letteraria, l’autrice prende lo spunto per tradurre in romanzo quel terremoto del 28 dicembre 1908 che rase al suolo l’intera città di Messina e Reggio Calabria. Ed è proprio dallo Stretto di Messina che Nadia Terranova focalizza la sua narrazione su due personaggi, una ragazza e un bambino cui la tragedia collettiva toglie tutto dando un’inattesa possibilità, e cioè quella di erigere sopra le macerie un’esistenza magari trasversale ma più somigliante all’idea di amore che hanno sempre immaginato. Sì, perché mentre tutto distrugge, l’apocalisse rivela l’umano bisogno di vita che continua a pulsare ostinatamente, nonostante tutto ciò che è rappresentato dall’orrore della distruzione. Così si legge: “C’è qualcosa di più forte del dolore, ed è l’abitudine”. Lo sa bene l’undicenne Nicola – il bambino di cui parlavamo prima – che passa ogni notte in cantina legato a un catafalco, e sogna di scappare da una madre vessatoria che è la moglie del più grande produttore di bergamotto della Calabria. Dall’altra parte del mare c’è Barbara – l’altra figura importante del romanzo di Nadia Terranova – che arrivata in treno a Messina per assistere all’Aida, progetta con tutta la ribellione dei suoi vent’anni una fuga dal padre, il quale vuole farle sposare un uomo di cui non è innamorata. Ecco, il desiderio di libertà che unisce Nicola a Barbara, il ragazzino undicenne e la signorina ventenne, i quali saranno esauditi nella loro voglia di libertà, ma a un prezzo altissimo. La terra trema mentre il mondo di Barbara e quello di Nicola si sbriciolano letteralmente, e adesso che hanno perso tutto, entrambi rimpiangono la loro vecchia prigione. Ora che sono soli, non possono che aggirarsi indifesi tra le rovine in mezzo agli altri superstiti, finché il destino non li farà incontrare per pochi istanti, ma così violenti che resteranno indelebili e in un modo primordiale i due saranno uniti per sempre. Una bella storia, un bel romanzo scritto con la riconosciuta abilità descrittiva di Nadia Terranova che, prima di realizzare questa opera letteraria, si è documentata per diverso tempo nella ricerca di quella tragedia del 1908, in cui Messina e Reggio Calabria scrissero la pagina più brutta della loro storia. Tuttavia, la voglia di rinascere dalla distruzione e il desiderio di ritornare a immergersi nella vita che continua, hanno fatto sì che tutto rientrasse come prima e meglio di prima.
“Ho trascorso su questa riva tutte le notti della mia vita, e del mio finto orizzonte conosco ogni inganno: gli occhi di chi nasce davanti al mare si perdono all’infinito, ma il mio mare è diverso, ti spinge indietro come uno specchio. Io sono nata con il muro di un’altra costa a bloccarmi lo sguardo: per questo, forse, non me ne sono mai andata, anche quando l’acqua mi ha offesa e ingannata, ha violato la mia giovinezza e distrutto chi ero”. Nadia Terranova
Salvino Cavallaro