L’errore di Marco Serra, classe 1982 della sezione di Torino, mi ha fatto riflettere a lungo su come a un arbitro di calcio in un attimo possa crollare il mondo intero. Certo, l’errore di avere fischiato frettolosamente un fallo di gioco senza dare precedenza alla regola del vantaggio che avrebbe assegnato come regolare il gol del Milan, è stato davvero grave. E se pensiamo che dopo avere annullato il gol dei rossoneri la squadra avversaria – in questo caso La Spezia – all’ultimo minuto di gara ha fatto gol e vinto la partita, allora l’errore diventa davvero irreparabile. Tuttavia, senza giustificare nessuno, mi preme dire che un arbitro è un uomo e, come tale, è soggetto a sbagliare perché in una frazione di secondo deve decidere attraverso il suo insindacabile fischietto, di far rispettare la regola di gioco. Non è facile, anche se pur supportato dagli assistenti di linea e dalla Var, l’arbitro deve gestire situazioni particolarmente difficili dove i 22 giocatori in campo non aiutano certo a non sbagliare. Il calcio di oggi è diventato frenetico, veloce, pieno di falli, si corre in maniera forsennata e sulle palle alte spesso si alzano i gomiti furbescamente per arrivare prima dell’avversario a colpire il pallone. Ecco, non per giustificare l’errore gravissimo commesso dall’arbitro Marco Serra che sarà fermato e retrocesso in Serie B, ma c’è da considerare l’umano sentire di un arbitro che consapevole della gravità dell’errore commesso, negli spogliatoi subisce lo sfogo del pianto. Lacrime che sono l’emblema di una delusione personale profonda e di una carriera costruita con evidenti sacrifici, prima di accedere alla direzione di gara nel palcoscenico della Serie A. Ebbene, penso che quanto è successo a questo arbitro torinese debba essere inteso non come qualcosa che macchi definitivamente la sua carriera di arbitro, ma deve invece essere aiutata nel tempo a farne un’esperienza atta a migliorarne le qualità professionali. In altre parole, penso che all’arbitro Marco Serra sia giusto dare un breve periodo di riposo che non dia però il senso punitivo e della mancanza di fiducia da parte dei responsabili dell’AIA, i quali devono in qualche modo tutelarne professionalità, carriera e dignità umana. Sparare sulla croce rossa non è mai una bella cosa, soprattutto se è l’uomo a dovere essere difeso prima ancora dell’arbitro.
Salvino Cavallaro