Ci sono momenti nella vita che ti mettono di fronte a domande talora difficili da rispondere. Poi, se ti trovi in un periodo storico di così alto confronto con la tua interiorità, ecco che tutto si riflette nel tuo stato di fragilità e crea confusione in te. Durante la Santa Messa della domenica delle Palme e con l’inizio della settimana Santa, spesso ci raccogliamo in preghiera e riflettiamo sulla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, sul dolore, sulla morte e poi sul vero significato della Pasqua di resurrezione. Già, Pasqua, la cui etimologia è da ricondursi all’ebraico pesach = passaggio. E mentre nell’ebraismo la Pasqua indicava sia il passaggio dell’Angelo della morte che avrebbe risparmiato i primogeniti del popolo eletto, nel Cristianesimo la Pasqua indica il passaggio definitivo dalla morte alla vita di Gesù Cristo che avviene con la resurrezione, ma anche attraverso il passaggio, la trasformazione delle specie eucaristiche, pane e vino nel corpo e nel sangue del Signore. Ma a parte la considerazione sul significato etimologico di Pasqua, resta poi il nostro accostarci a un mistero così profondo con fede Cristiana. Ma c’è ancora un altro punto che secondo me entra nell’anima e che anno dopo anno, pur restando immortale il significato Cristiano di Pasqua, cambia in noi il modo di viverlo. Sì, perché siamo noi che cambiamo assieme al tempo che scorre via velocemente più del vento, più della luce. E così penso come cambia forte in noi nei momenti di fragilità estrema, simile a quello che stiamo vivendo in questi anni di oscurità in cui tieni forte la speranza nella vita, quelle ultimo parole di Gesù Cristo prima di spirare sulla Croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ed ecco che queste parole suonano in noi in maniera ancora più forte, significative di come nell’umano sentire si instauri quel pensiero di abbandono proprio di chi tu credi più di ogni altra cosa al mondo. Un po’ come significare la fragilità dell’uomo, di Gesù fatto uomo e come tale ha assunto le stesse debolezze che sanno di sconforto, ma mai di dubbio. E allora pensi che il quel “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” sia racchiusa la domanda al perché del non aiuto, forse per scontare i miei peccati? O perché? E’ lo sguardo emotivo dello stato di dolore, di angoscia che viviamo intimamente, la disperazione che ci fa pensare che Dio ci abbia abbandonato, mentre poi ci pentiamo e riflettiamo che Lui è sempre con noi, che piange con noi, che vive con noi le nostre stesse ansie, i dolori e che gioisce delle nostre gioie nei nostri momenti belli, perché, non dimentichiamolo, la vita è fatta anche di bei momenti. Ma in questo momento di vita che dura ormai da due anni e che ci vede davvero stanchi di dovere combattere un nemico invisibile che ha fatto razzia di morte nel mondo, è lecito e non blasfemo pensare in modo disarmante che senso ha tutto questo. E invece un senso ce l’ha ed è lo stesso che Gesù Cristo ha provato sulla Croce nel suo vissuto di uomo, di persona che dopo la sua nascita (gioia infinita) è vissuto conoscendo e pagando l’invidia, la cattiveria, i soprusi, i tradimenti dell’uomo stesso che è unico vero responsabile di tutto. E’ il percorso della nostra vita, con le discese, le risalite, le cadute e le faticose rialzate. Fino alla fine, fino al giorno in cui la Pasqua, il passaggio sarà per noi ciò che Dio ha voluto per Gesù Cristo fatto uomo. Sono pensieri, sono momenti di vita. Sono riflessioni intimiste di questo spaccato storico del nostro tempo di non vita chiamato Covid 19, che racchiude tutta la forza e la fragilità che c’è in noi. E’ una prova di resistenza, anche se è umano e mai irriverente pensare: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Salvino Cavallaro