Sono felice di ospitare il Dottor Biagio Ingignoli, cardiologo molto stimato in Piemonte e non solo, per la lunga esperienza medica che ha saputo abbinare alle sue indiscusse qualità umane. Il Dottor Ingignoli è stato responsabile di primo livello presso le Cardiologie Riabilitative dell’Ospedale Mauriziano di Lanzo Torinese e di Torino, mentre dal 1999 al 2005 ha assunto la stessa carica professionale presso l’Ospedale S.S.Trinità di Fossano in provincia di Cuneo. E’ stato dirigente di livello presso Maria Pia Hospital di Torino. Attualmente prosegue la sua attività di cardiologo presso l’Azienda CDC di Moncalieri (To) e privatamente presso lo Studio Medico Crocetta e Medical Team di Torino. Da quest’anno il Dottor Ingignoli è anche preside dell’UNITRE (Università della Terza Età) di Torino. Oggi pubblichiamo la sua interessantissima relazione intitolata “Covid 19 e malattie cardiovascolari” proprio per fare un servizio di informazione corretta e chiarezza su un tema delicato quale la correlazione tra polmonite interstiziale e malattie cardiovascolari. Di questo siamo grati al Dottor Ingignoli, per averci dato spiegazioni tecniche e scientifiche su tale patologia.
Salvino Cavallaro
COVID 19 E MALATTIE CARDIOVASCOLARI.
Relazione del Dottor Biagio Ingignoli
La malattia più importante del COVID 19 è la polmonite interstiziale, caratterizzata da un forte processo infiammatorio nello spazio tra gli alveoli in cui avviene lo scambio tra ossigeno (necessario per mantenere le funzioni vitali) e anidride carbonica (prodotto di scarto della respirazione).
Quello che ne deriva è un’alterazione delle condizioni fisiologiche, definita insufficienza respiratoria duplice e caratterizzata da un deficit di ossigeno e da un eccesso di anidride carbonica nel sangue. Da qui in poi, con ogni probabilità, può avere origine una cascata di eventi in grado di compromettere la funzionalità di diversi organi.
I malati COVID-19 hanno mostrato un elevata prevalenza di malattia cardiovascolare sottostante; tuttavia le complicanze cardiovascolari non hanno mostrato un ruolo preponderante nei malati a prognosi infausta, prognosi che rimane infausta soprattutto per le complicanze respiratorie dell’infezione. In altri termini, non si è documentato un tasso così alto di complicanze cardiovascolari nei malati a rischio come temuto nei primi momenti della pandemia.
Le complicanze cardiovascolari intra-ospedaliere di questi pazienti si sono attestate intorno al 9% (morte cardiovascolare, infarto miocardico, stroke, scompenso cardiaco).
I diversi studi compiuti sui pazienti guariti hanno identificato gli effetti dell’infezione sull’apparato cardiovascolare: 1) un’invasione diretta dell’agente virale a livello miocardico con successiva risposta immunitaria e conseguente infiammazione del miocardio (miocardite) o del pericardio (pericardite). 2) una insufficiente risposta alla domanda di ossigeno dei tessuti e ridotta possibilità di fornirlo a causa del danno polmonare. 3) un danno ischemico provocato da formazione di trombi a carico dei più piccoli vasi coronarici e delle coronarie maggiori.
Si ha pertanto un aumentato rischio di eventi: vasculiti, miocarditi ed infarti, nei casi più gravi responsabili di aritmie cardiache fatali. Inoltre, sono stati trovati elevati livelli di troponina (complesso di proteine, presente soprattutto nel tessuto muscolare scheletrico, in particolare nel muscolo cardiaco, miocardio); troponina che aumenta in caso di danno ischemico (ad es. infarto miocardico). Però nel caso della miocardite da Covid 19, tale incremento è espressione nella maggioranza di casi di un danno miocardico non ischemico (non dovuto ad una malattia coronarica).
L’eccessiva risposta infiammatoria determinerebbe un aumento della coagulazione del sangue: un incremento della formazione di «grumi» di sangue, che determinano a loro volta trombosi ed embolie polmonari.
La maggior parte delle morti di covid 19 in terapia intensiva è dovuta ad una coagulazione intravascolare disseminata (CID) acuta che evolve rapidamente (in ore o giorni) causa principalmente sanguinamento diffuso (l’infiammazione favorisce la formazione di trombi che a loro volta determinano un deficit di piastrine con successivo sanguinamento ).
Le malattie cardiovascolari rappresentano infatti una complicanza dell’infezione da sars-cov-2 ma anche un fattore di rischio: ad es. 7 decessi da Covid 19 su 10 riguardano persone che soffrono d’ipertensione arteriosa. Inoltre, nei contagiati, in caso di arresto cardiaco, la probabilità di decesso è molto maggiore per gli ipertesi rispetto a chi non è infetto.
A causa della pandemia si è registrata una riduzione dei ricoveri per infarto pari al 48%, la mortalità è passata dal 4,1 al 13,7%. Si è avuta, inoltre, un’elevata mortalità, pari al 35%, per eventi cardiovascolari avvenuti al proprio domicilio: “si va meno in ospedale per paura del contagio”.
Secondo un rapporto dell’istituto superiore di sanità, su 59.394 pazienti Covid deceduti in italia: il 70% presentava ipertensione arteriosa, il 25% cardiopatia ischemica, il 25% la fibrillazione atriale, il 20% scompenso cardiaco.
Un’altra insidia Covid-correlata per il cuore deriva dallo stress accumulato con l’emergenza coronavirus che determina una cardiomiopatia più diffusa nelle donne e simile all’infarto miocardico ma con coronarie senza restringimenti significativi alla coronarografia (Sindrome di Takotsubo).
Il danno miocardico si valuta attraverso le modificazioni dell’elettrocardiogramma (ischemia/infarto/aritmie), il dosaggio della Troponina nel sangue (indice di un danno del muscolo cardiaco), le alterazioni della contrattilità del cuore attraverso l’ecocardiogramma, la risonanza magnetica (RMC), che rappresenta il gold-standard non invasivo per la diagnosi di miocardite e può evidenziare una miocardite asintomatica. Inoltre, valutazioni seriate con RMC possano essere utilizzate per identificare, tra i pazienti guariti da COVID-19, quelli che potrebbero essere a maggior rischio di futuri eventi aritmici e/o di scompenso cardiaco.
Se la Troponina e’ aumentata, quale prova di un coinvolgimento cardiaco, la mortalità e’più che triplicata. Se sono presenti anche deficit di contrattilità evidenziabili all’ecocardiogramma la mortalità e’ del 30%. Le alterazioni dell’ecocardiogramma e dell’elettrocardiogramma ci danno l’estensione dell’infarto e la presenza di aritmie cardiache pericolose per la vita.
I pazienti più a rischio e che, ovviamente, necessitano di cure più importanti e di maggiore attenzione sono: gli obesi in cui ovviamente sono più spesso presenti altre patologie quali il diabete, l’ipertensione arteriosa o le malattie metaboliche, i diabetici, i pazienti con gravi problemi cardiaci/vascolari: infarti miocardici estesi, stenosi coronariche non operabili, miocardiopatie, malattie cerebrovascolari.
Si è visto che i pazienti con sintomi severi da COVID-19: il 58% aveva ipertensione, il 25% cardiopatia, il 22% diabete.
In particolare i pazienti si possono suddividere in funzione del rischio nei seguenti gruppi: a rischio molto alto, sia di infezione sia di andare incontro a forma grave di malattia: soggetti immunodepressi (per esempio chi ha subito un trapianto), pazienti oncologici in chemioterapia o radioterapia estensiva, pazienti con leucemia, linfoma e concomitante malattia cardiaca; a rischio alto: anziani e persone fragili come le donne in gravidanza con concomitanti problemi cardiaci, soggetti con patologie cardiache come scompenso cardiaco, cardiomiopatia dilatativa o ipertrofica, forme avanzate di cardiomiopatia ventricolare destra aritmogena e pazienti con cardiopatia congenita cianotica. Non ci sono prove che il virus infetti dispositivi come pacemaker o defibrillatori impiantati o che causi endocardite infettiva nei soggetti con malattia valvolare.
La dispnea, ovvero la mancanza d’aria dopo un piccolo sforzo, dopo la fase acuta a distanza di mesi può avere diverse spiegazioni: il virus sta ancora danneggiando i polmoni; il virus li abbia danneggiati durante la fase acuta e l’organismo non riesca a riparare il danno, magari per una recrudescenza del virus o per l’effetto di qualche altra malattia che il paziente non sa di avere e che ostacola la riparazione.
I pazienti con malattie cardiovascolari, in caso di contagio da COVID-19, rischiano di incorrere in complicanze maggiori rispetto a pazienti senza patologie pregresse. Si stima infatti che 1 paziente affetto da disturbi cardiovascolari su 5 vada incontro a conseguenze severe dopo aver contratto COVID-19. È molto importante, dunque, che chi è o è stato soggetto a scompenso cardiaco, a infarto miocardico e a ictus possa avere accesso alla vaccinazione contro il virus SARS-CoV-2 e che abbia anche a disposizione tutte le informazioni corrette per non farsi influenzare nelle sue scelte dalle fake news riguardanti i vaccini che purtroppo sono circolate negli ultimi mesi.