Nella giornata della festa della Repubblica, in cui i sentimenti patriottici emergono spontanei e si moltiplicano in ricordo di quel 2 giugno 1946 in cui la monarchia di Casa Savoia fu soppiantata dalla nascita della Repubblica, grazie al referendum istituzionale indetto a suffragio universale, l’Italia frenata dall’emergenza legata al coronavirus, festeggia in maniera sobria quello che fu storicamente l’inizio della storia democratica del nostro Paese. Infatti, in quest’anno 2020 che la narrazione del tempo ricorderà come un periodo di oscurantismo sociale dovuto alla pandemia, molte sono le riflessioni che si intersecano sul presente e sul futuro del nostro Paese, il quale manifesta pericolose tendenze di “allergie” verso il rispetto di quel senso di unione nato proprio quel giorno in cui la Repubblica Italiana aprì un nuovo capitolo generazionale fatto di democrazia. Gli annali storici riferiscono che in quel 2 giugno 1946 in cui parteciparono al voto anche le donne, si definì la nomina di Presidente della Repubblica a Enrico De Nicola, mentre Alcide De Gasperi fu nominato Presidente del Consiglio. Un nuovo assetto culturale, politico e ideologico si attuò il primo gennaio 1948, quando entrò in vigore la nuova Costituzione della Repubblica Italiana. Capitoli memorabili che ci ricordano lo sforzo di figure politiche di grande spessore, i quali grazie alla nuova Repubblica e all’alto senso democratico fatto di rispetto e di apertura a nuove proposte inneggianti all’unione e ai miglioramenti sociali del nostro Paese, avevano apportato una nuova linfa di vita e di crescita istituzionale. E allora qual è la differenza tra ieri e questo oggi riveduto e corretto da un’Italia che stenta, arranca ed è sempre alle prese con una ripida risalita fatta all’insegna del recupero di un debito pubblico che appare sempre più insormontabile? E’ certamente frutto di quel mietere il dilagante ego politico di parte e di rincorsa al Potere, che è causa di disgregazione sociale, di sfilacciamenti politici e di rivolte popolari. Poi, nella situazione in cui ci troviamo dopo quasi tre mesi di lockdown e di fragilità politica e sociale che ha devastato l’Italia, il sentimento di rinascita dovrebbe essere maggiormente legato a fattori inneggianti l’unione del Paese. E invece assistiamo addirittura a dispersive manifestazioni di disunione politica che divide il nostro Paese in Regioni amministrate da presidenti che separano i propri confini territoriali come se questo fosse l’unico sistema per ricominciare. Ma da De Nicola a De Gasperi e ai più illustri statisti del nostro Paese, il messaggio non è mai stato questo. Già, anche perché l’alto senso di democrazia che la storia ci riporta non è stato sempre perfetto nel suo lavoro, ma perfettibile nello sforzo di unirsi rispettando le altrui idee. E’ il senso di una democrazia che sembra essere dimenticata proprio nel tempo in cui la pandemia da virus ha ingigantito le annose fragilità di un sistema sempre più dispersivo, nella concentrazione di una rinascita che deve ripartire dall’unione del nostro Paese. Ma chi oggi è disposto a perdere una parte di sé per il bene comune? Ecco, diremmo proprio che questa festa della Repubblica Italiana priva di celebrazioni, debba farci riflettere sul senso di un rialzarci in maniera comune, dando una mano a quei settori e a quelle filiere commerciali che più di altre mostrano tutta la loro difficoltà a una ripresa che sarà comunque lunga e difficoltosa. Essere preparati a questo, non è significativo di egoismi politici e morbose idee atte alla conquista del Potere, ma più semplicemente è l’esaltazione del senso democratico costruito sulle basi di una Repubblica Italiana di cui siamo fieri e grati a chi, in quel 2 giugno 1946, ha stabilito con il referendum istituzionale il capitolo nuovo del nostro Paese.
Salvino Cavallaro