A trentotto anni dal delitto, la Procura di Palermo riapre l’inchiesta sull’omicidio del presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, fratello del Capo dello Stato, Sergio. I nuovi accertamenti vengono considerati doverosi, per quanto siano resi complicati dal lungo tempo trascorso e dalle sentenze passate in giudicato. Nel mirino ancora una volta i Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, il cui capo, il terrorista nero Giusva Fioravanti, fu processato e definitivamente assolto dall’accusa di essere stato il killer del presidente delle “carte in regola” ucciso nel giorno dell’Epifania del 1980. Cosa che lo rende non più giudicabile, anche in presenza di eventuali nuove prove. Gli esiti delle verifiche non avrebbero portato dunque, perlomeno finora, a risultati decisivi, anche se attraverso un confronto comparato, è emerso che uno dei reperti del processo celebrato a Palermo, la targa di un’auto del commando, sarebbe stata divisa in due dagli autori del furto e una parte fu poi ritrovata in un covo dell’organizzazione terroristica neofascista. Finora comunque non ci sarebbero sbocchi concreti, dal punto di vista processuale: la collaborazione tra “neri” e mafiosi, in vari fatti e azioni delittuose, era stata già più volte provata, ad esempio per la strage del Natale 1984 del Rapido 904.
Da risolvere ancora una serie di dilemmi: quali furono gli interessi concreti della commissione mafiosa, chi fu a sparare materialmente al presidente della Regione, assassinato in via Libertà, nel capoluogo siciliano, la mattina di domenica 6 gennaio del 1980? Le nuove verifiche erano state sollecitate un anno e mezzo fa dagli avvocati della famiglia della vittima, Francesco, Giuseppe e Andrea Crescimanno. Gli accertamenti sono partiti.
Fioravanti fu riconosciuto dall’ormai scomparsa Irma Chiazzese, vedova del presidente della Regione (in auto con lui e con i figli Bernardo e Maria Mattarella, al momento dell’agguato). Aveva, il terrorista dei Nar – condannato fra l’altro per la strage di Bologna – personaggi mafiosi che gli somigliavano? Il dubbio sul fatto che la mafia potesse servirsi di un assassino non “suo”, sebbene l’eversione neofascista fosse considerata alleata dei boss siciliani, non era stato ritenuto decisivo da un inquirente come Giovanni Falcone, convinto della colpevolezza di “Giusva”.
Da ricostruire anche il possibile ruolo di don Vito Ciancimino, politico mafioso che potrebbe avere avuto interessi concreti nell’eliminazione in particolare sia del segretario provinciale della Dc Michele Reina, ucciso dieci mesi prima di Mattarella, che nell’ambito morte del presidente della Regione. Don Vito, da confidente dell’allora questore di Palermo Purpi, cercò di depistare le indagini sul delitto Mattarella. E nel ’93 tentò di accreditare la “pista interna”, in un altro delitto politico-mafioso: l’omicidio del segretario del Pci Pio La Torre, ucciso il 30 aprile 1982 assieme al collaboratore Rosario Di Salvo.